Il cuore del vino

27 Mag 2024 | News, newsletter

di Angelo Petracci

L’enologo Michel Rolland ha in qualche modo ragione quando scrive “Non cerchiamo ragionamenti per impedirci di provare piacere”. Il bel libro di Piero Riccardi “Il cuore del vino” lo conferma in pieno: i produttori biodinamici arrivano al vino con un patrimonio pregresso di idealità per cui non si accontentano soltanto di ottenere un vino piacevole.
Il vino non può essere ridotto soltanto ad un prodotto da vendere. Il vino è molto di più. Il vino ha un cuore perché è una forma di vita. Il vino deve rispondere alla nostra sete di sapere, deve anche procurare un piacere intellettuale in chi lo produce e in chi lo beve. Deve emergere dietro ad ogni scelta del produttore un riferimento culturale, il vino deve essere capace di esprimere la sua anima e i suoi gesti. E il gesto più importante deve essere quello di non intervenire.
L’obiezione è ovvia e dovuta: se c’è l’uomo non esiste niente di naturale e la natura stessa è un concetto culturale, un’invenzione umana. Prima che l’agricoltura venisse dominata dalla tecnica e dalla modernità era dominata dalle stanche abitudini, dagli istinti e non dalla saggezza e dalla prudenza. Riccardi è preparato e non cade nella facile demagogia del mito del vino naturale: a chi gli obietta che il vino naturale non esiste,  che è figlio di una vite piantata e potata dall’uomo e di una vinificazione guidata che gli impedisce di divenire aceto, lui sorride perché sa in prima persona che chi lo produce affronta una lunga serie di scelte. Piero invita ad adottare un’altra prospettiva: la natura dà già all’uva tutto quello che le serve per divenire vino: non sarebbe altrimenti esistito nelle civiltà antiche prive della chimica moderna. Si tratta di riappropriarsi di quel modello. Fare quanto più possibile con e quanto meno possibile contro. Intervenire soltanto per prevenire i difetti e mai per aggiungere o selezionare aromi.
Il vino deve aderire soltanto a quanto già disponibile nel vigneto e nell’uva. Ogni intervento diviene artificio che impoverisce quanto conferito dalla natura. Se correggi ed intervieni allo stesso modo in ogni parte del mondo perdi peculiarità e crei un’identità forse piacevole ma senz’altro anonima. Vino naturale quindi come capacità di sottrarsi da un interventismo inutile, mai capace di creare un equilibrio migliore di quello che sa già creare la natura. E tutto questo va fatto per ottenere alla fine del percorso l’illusione più bella e più appagante di tutte: “che il vino si sia fatto da sé”

Un libro dal fortissimo peso specifico, ogni capitolo meriterebbe un approfondimento, da leggere con lentezza e da rileggere per metabolizzarne il coltissimo contenuto e anche per continuare a rimanere ancora dubbiosi circa la crociata contro i lieviti selezionati che in altrettanta colta letteratura vengono descritti invece come capaci non di aggiungere aromi, quanto di disvelare precursori aromatici già presenti nelle bucce che altrimenti rimarrebbero silenti.
Costruttori quindi di sfumature identitarie e non rulli compressori appiattenti.

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