Un fiorino per il vino

20 Mar 2025 | News, newsletter

di Paolo Tamagnini

“Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!”: la celebre scena della dogana, interpretata da Benigni e Troisi nel film capolavoro “Non ci resta che piangere”, mi sembra che rappresenti, anche con l’esasperazione dei due attori protagonisti, il momento di disordinata confusione e diffusa angoscia che pervade il mercato del vino, alla prova della paventata ed imminente applicazione dei dazi USA sui prodotti agricoli annunciati dall’amministrazione Trump. Da una stima recente dell’UIV (Unione Italia Vini), si prevede un impatto da quasi 1 miliardo di euro solo per l’export del vino italiano, di cui 472 milioni di perdita dagli USA pari a -25% rispetto allo scorso anno, sommati ad un effetto ricaduta sui Paesi coinvolti dalle nuove tariffe, per i quali sono previsti significativi rallentamenti economici che si tradurrebbero in una contrazione di almeno il 6% dell’export verso il Canada e un -5% verso l’UE.  Si ragiona su come mantenere le quote nel mercato statunitense, che oggi vale per l’Italia circa 1,9 miliardi di euro e il 24% del totale export del settore. Un terreno di conquista per quelle posizioni di mercato, che il vino italiano cederebbe ai paesi tuttora non coinvolti dall’applicazione dei dazi americani, come l’Argentina con il malbec, il Cile con il merlot e l’Australia con lo shiraz. Il nostro prodotto esportato negli Usa non è considerato un “bene di lusso”, e pertanto non rappresentando una nicchia ad alto valore aggiunto, non avrebbe margini per assorbire i dazi statunitensi.
L’appello che si leva da molti produttori è quello di coinvolgere pienamente i nostri partner americani, importatori e distributori, con l’obiettivo di andare alla guerra dei dazi, senza fare la guerra, con lo scopo di cercare di unire le forze delle imprese del vino. Gli sforzi della diplomazia italiana ed europea, che allo stato attuale potrebbero mettere sul tavolo solo alcuni negoziati sul futuro delle relazioni commerciali con gli Stati Uniti, non sembrano sufficienti a garantire un futuro roseo. E allora le aziende vinicole cominciano ad organizzarsi autonomamente, come la Arnaldo Caprai di Montefalco, una delle più note cantine umbre produttrici di sagrantino, che ha spostato negli USA tutto il prodotto necessario a coprire il proprio mercato fino al primo trimestre 2026; si tratta ovviamente di una soluzione temporanea, ma quantomeno efficace nel breve termine, anche per capire come evolverà o come si adatterà il mercato a questa ventata di neo-protezionismo. Intanto, al momento, i dati ISTAT dell’export vitivinicolo registrano un nuovo record che si appresta a toccare i 2 miliardi di euro, un dato che contrasta nettamente con la tendenza in atto di contrazione dei consumi di vino negli USA.
Una possibile e realistica interpretazione è che gli importatori americani, per anticipare i possibili aumenti effettuano ora gli acquisti futuri a rischio dazio. Insomma, ancora per breve tempo i nostri Saverio (Benigni) e Mario (Troisi) potranno continuare a cavarsela con poco, ma forse sarebbe meglio consigliare loro di riempire già da ora il carro di una bella scorta di botti di vino, perché quel fiorino non sarà più sufficiente.

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